Giustino Martire è il più importante degli Apologisti greci. Dalle sue stesse opere (Prima Apologia 1,1),
apprendiamo che è nato a Flavia Neapolis, l’antica Sichem (o Sicar), in Samaria (oggi Nablus); si tratta della città ove Dio apparve ad Abramo, il quale edificò un altare (Gn 12,6-7); essa è nota, inoltre, per l’assemblea che Giosuè tenne per ratificare l’alleanza tra Dio e il suo popolo (Gs 24) e per il «pozzo di Giacobbe», presso cui Gesù incontra la Samaritana (Gv 4,56). La colonia romana di Flavia Neapolis fu fondata presso le rovine dell’antica città ebraica in onore di Vespasiano. Giustino stesso ci informa che suo padre si chiamava Prisco (nome latino) e suo nonno Baccheio (nome ebraico). Si può dedurre che la sua famiglia fosse composta da coloni giunti in Palestina dopo la distruzione di Gerusalemme, nel 70 d.C., ad opera dell’imperatore Tito, figlio di Vespasiano e suo successore nella guida dell’impero romano. Egli stesso, inoltre, dichiara di non conoscere l’ebraico e di aver ricevuto un’educazione greca. Nel Prologo del Dialogo con Trifone (2,3), narra di aver peregrinato da una scuola filosofica all’altra (Stoicismo, Aristotelismo, Pitagorismo e Platonismo), e di essersi, infine, convertito al Cristianesimo, a causa dell’impressione ricevuta dall’eroismo dei martiri e anche per gli ammonimenti ricevuti da un anziano cristiano, che alcuni studiosi identificano in Policarpo di Smirne, santo martire che era stato discepolo diretto dell’Apostolo Giovanni (l’incontro con Policarpo è l’oggetto del quadro alla vostra destra). Dopo la conversione, avvenuta ad Efeso, secondo la testimonianza di Eusebio di Cesarea (Storia Ecclesiastica, IV, 18), coperto dal pallium (che era il mantello dei filosofi e con il quale Giustino viene rappresentato sia nell’affresco del nostro presbiterio come nella statua), si dedicò interamente all’insegnamento e alla difesa della fede cristiana. Il fatto che fosse di nazionalità palestinese e di educazione greca gli consentì di confrontarsi sia con la cultura biblica giudaica (nel Dialogo con Trifone), per dimostrare che Gesù è stato veramente il Messia atteso dalle genti, sia con la cultura filosofica greca (nelle Apologie), per dimostrare che Gesù è l’incarnazione storica del Logos di cui partecipano tutti i filosofi. Tra le opere autentiche e quelle attribuite a Giustino meritano una particolare attenzione le due Apologie. Queste, infatti, scritte con l’intento di difendere agli occhi dell’autorità imperiale il cristianesimo, ci regala un interessante spaccato della vita ecclesiale dei primi secoli a Roma e ci permettono di conoscere le accuse che i pagani rivolgevano ai seguaci del cristianesimo. La prima scritta nel 150 ca. è indirizzata all’imperatore Antonino il Pio e a suo figlio adottivo Marco Aurelio definito da Giustino “filosofo”, che gli succedette quale imperatore e già associato a lui nell’ Impero con il titolo di Cesare nel 138. La seconda scritta qualche anno dopo e indirizzata al Senato di Roma. Giustino si trasferì a Roma intorno al 148, vi fondò una scuola e visse fino alla morte presso le «Terme di Mirtino» (Atti del martirio 2-3), da identificare, forse, con una località della via Tiburtina. Il martirio di Giustino, secondo quel che ci dice l’allievo Taziano (Discorso ai greci, XIX), fu provocato da una denuncia del filosofo cinico Crescente, che lo stesso Giustino menzione nella Seconda Apologia (3,1-4). La condanna a morte fu eseguita nel 165 per decapitazione, per ordine del Prefetto Giunio Rustico, che governò Roma dal 163 al 167, durante l’Impero di Marco Aurelio (la scena del martirio con l’acquedotto di Alessandro Severo sullo sfondo è l’oggetto del quadro sulla vostra sinistra) Si pensa che la sua tomba possa essere nelle catacombe di Santa Priscilla, in un loculo della galleria del primo piano che reca l’iscrizione in greco MZOY∑TINO∑ (la M iniziale del nome potrebbe, con ogni probabilità, significare «Martire»).